La tragica solitudine del Papa
Il pontefice porta sulle sue spalle la crisi della Chiesa e il declino della tradizione europea, il duplice tramonto della fede e dell’intelligenza, che patisce da papa e da pensatore
di Marcello Veneziani - 29 maggio 2012
Date una carezza al Papa. Benedetto XVI è una figura tragica e solitaria. Porta sulle sue spalle la crisi della Chiesa e il declino della tradizione europea, il duplice tramonto della fede e dell’intelligenza, che patisce da papa e da pensatore.
Era pronto alla sfida del nichilismo ma si trova a dover rispondere alla maldicenza e al malaffare. Voleva misurarsi con l’ateismo pratico d’Occidente e invece è costretto a rispondere di storie miserabili: prima la pedofilia, poi gli scandali e la corruzione, la guerra dei veleni in San Pietro e perfino vecchi delitti adombrati. Non sono novità per la Chiesa, ma stavolta c’è pure la fede spenta.
Il Papa denuncia la crisi religiosa e delle vocazioni, ma poi deve vedersela con le macchine del fango e le fogne a cielo aperto del Vaticano. Si capisce che è a disagio, non è il suo mondo e non ha neanche la gloria del perdente, la fama e l’affetto che circondavano il suo predecessore. Parla da filosofo e la gente non lo capisce, lo contestano, le sue diagnosi acute sono incomprese o inascoltate, accolte con sussiego dagli osservatori profani, laici illuminati e atei devoti, che lo esortano a dimettersi come se fosse un Bossi qualunque a cui hanno scoperto le paghette dei figli.
Forse lui lo vorrebbe, ma un papa non può dimettersi, non guida un partito o un governo; e una crisi come questa diverrebbe con le sue dimissioni una catastrofe, quasi l’avverarsi della sinistra profezia di Pietro II che chiude i duemila anni di cristianità. È solo e lontano, il Papa, come il suo Dio. Patisce il papato.
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