«A Roma ci siamo e ci resteremo »; è la frase chiave della politica italiana e campeggia non a caso nella sala della Lupa dove fu proclamata la Repubblica. Io credo ai simboli e considero un segnale il crollo dell’affresco «l’Allegoria di Roma» l’altra notte, proprio in quella sala storica. Una spiegazione ce l’ho anche se i periti e i partiti la negheranno: è stata la Seppia che ha sputato il suo nero inchiostro per salvarsi. Mi spiego. Da alcune settimane assistiamo a una danza indecente delle Seppie nei fondali della politica. Tutti chiedevamo la riforma della politica per abbattere i suoi costi e dimezzare la casta; per ripristinare il diritto costituzionale di scegliersi i propri rappresentanti; per varare un sistema elettorale che consenta governi stabili e duraturi.
I partiti si dettero tre settimane per raggiungere un accordo. E può darsi che un accordo, implicito o segreto, ci sia, ma opposto alle aspettative: lasciare tutto come prima, salvo cosmesi.
Ogni giorno i partiti spruzzano proposte divergenti e strabiche, alcune troppo pretenziose, altre devianti. Il risultato finale è il nero seppia. Ciascun partito-seppia spruzza il suo inchiostro, disperde gli astanti e fa perdere di vista gli obbiettivi. Oggi nessuna vera riforma è praticabile, i tagli promessi non ci saranno, le Camere resteranno praticamente le stesse. I polpi parlamentari sono contenti: la Seppia Madre, benché bollita, ha salvato i suoi cuccioli. Anche se crolla tutto, la Repubblica e il suo affresco, «a Roma ci siamo e ci resteremo». Che idiozia e che schifo.
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