SERGIO RAMELLI - DA QUALCUNO CHE HA VOLUTO RACCONTARE...... PER NON DIMENTICARE
SERGIO RAMELLI PRESENTE! NON TI ABBIAMO DIMENTICATO… 29-04-1975 / 29-04-2011
Chi ascolta la storia di Sergio Ramelli prova, come prima reazione, il desiderio di falsificarla, di negarla. Una storia del genere, ci si dice, non è vera, non può essere vera .Sfortunatamente è vera, ed è accaduta in Italia 25 anni fa.Quando in futuro le generazione guarderanno gli anni ’70 a Milano non avranno difficoltà a dire che Sergio Ramelli, un ragazzino di 18 anni fu perseguitato e ucciso da una città intera, da un paese intero: dai suoi professori, dai suoi compagni di scuola e dall’indifferenza e dalla paura dei suoi concittadini.
Vogliamo raccontarvi, tramite le parole di Luca Telese, la storia di un ragazzo come tanti, come me appassionato di calcio e di politica. E’ la storia di Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della Gioventù ucciso a colpi di chiave inglese nel 1975 da esponenti di Avanguardia Operaia .
“Sono i primi giorni di gennaio, è il 1975.
All’istituto tecnico Molinari, in V° J il professore di lettere assegna ai ragazzi, tra gli altri, un tema di attualità.
Sergio Ramelli, che frequenta da due mesi la sede del Fronte della gioventù, non ha dubbi: parla delle Brigate rosse. Scrive che il primo delitto dei brigatisti è stato compiuto contro due missini, scrive che le Br sono un pericolo per la democrazia, scrive che Mazzola e Giralucci, purtroppo, sono ricordati come delle vittime solo dai loro compagni di partito, che i brigatisti non sono un pugno di romantici rivoluzionari, ma un’organizzazione manovrata
Ha le idee chiare, non c’è dubbio. Forse, osserverà il professore, è rimasto impressionato da un editoriale di Giorgio Pisanò apparso sul Candido e ne riecheggia le tesi, chissà: il testo originale di questo tema, ovviamente, oggi non esiste più. Ma il suo contenuto se lo ricordano bene tutti, i professori e i compagni di classe di Sergio. Perché succede che il ragazzo incaricato di raccogliere i temi venga bloccato in corridoio da alcuni compagni di scuola, che fanno parte del collettivo politico più forte dell’istituto, quello di Avanguardia operaia. E che poi i ragazzi del collettivo si mettano a spulciare gli elaborati uno per uno, per capire cosa hanno scritto i loro compagni su un argomento così delicato. Nessuno saprà mai che voto avrebbe preso per quel compito Sergio, il professore non lo correggerà mai
Poche ore dopo, infatti, nella bacheca dell’atrio due fogli protocollo fanno bella mostra di sé, affissi con le puntine. Sopra c’è una scritta rossa: ECCO IL TEMA DI UN FASCISTA. Il testo è costellato di sottolineature. Per quanto nessuno ancora possa nemmeno immaginarlo, quel tema, e la sua «correzione», sono l’inizio di una drammatica catena che, anello dopo anello, si chiuderà con la morte di Sergio.
C’è qualcosa, nella figura di Sergio come è stata ricostruita negli atti e nei ricordi di chi lo ha conosciuto, che colpisce ancora oggi. Non si tratta di cedere all’eterna tentazione di costruire agiografie retroattive, non è la solita attitudine alla santificazione del martire. Ma è come se Sergio, in qualche modo, fosse riuscito a restare refrattario al furore ideologico del suo tempo. È un fan sfegatato solo quando si tratta di Adriano Celentano (una «vera mania», assicura la madre). È un grandissimo appassionato di sport, soprattutto di calcio, gioca a pallone a livello semiprofessionistico. È tifoso dell’Inter ma raramente va allo stadio, non è interessato al tifo. Dice la signora Anita: In tutte queste cose, nella musica, nello sport, come nella politica non era un fanatico. Si interessava, gli piacevano, si entusiasmava, ci metteva il cuore, ma non l’ho mai visto urlare o irritarsi
Così, ripercorrendo i suoi ultimi giorni, si trova anche qualcosa di stoico, in lui, nel modo in cui si avvicina alla fine. In quella lunga cronaca di una morte annunciata che sarà il suo omicidio, malgrado il moltiplicarsi dei segnali e delle minacce, incredibilmente Sergio non si lamenterà mai né chiederà soccorso ai camerati, che sicuramente, se avessero saputo, avrebbero fatto qualcosa per proteggerlo.
Fino all’ultimo terrà all’oscuro anche la sua famiglia, negherà l’innegabile, mentirà per nascondere la progressione delle aggressioni di cui viene fatto oggetto. Risulta dai verbali degli interrogatori che persino nei giorni in cui a scuola lo insultano e lo prendono a calci, lui continua a non raccontare niente ai genitori. Quando proprio non può, e la madre lo riempie di domande, scuote la testa e le fa: «Non preoccuparti mamma, non è nulla».
La giornata più drammatica, nel corso della lunga persecuzione che prepara il delitto, è quella del 3 febbraio 1975. Dopo molte discussioni, papà e mamma Ramelli hanno deciso di imporre al figlio di abbandonare il Molinari. A malincuore Sergio è costretto ad accettare, e quella mattina entra a scuola accompagnato dal padre per sbrigare le necessarie pratiche burocratiche. Purtroppo li stanno aspettando: nel corridoio della scuola padre e figlio sono aggrediti, picchiati e costretti a passare fra due file di studenti per un violento rituale di sottomissione.
Sembra la scena di un film di Kubrick, sembra un’arancia meccanica in salsa meneghina, e ancora una volta bisogna lasciare la parola a Grigo e Salvini per sapere come si conclude questa terrificante passeggiata:
Il ragazzo era stato colpito ed era svenuto, mentre lo stesso preside e i professori che avevano scortato il Ramelli e il padre verso l’uscita erano stati malmenati.
Ancora più sconcertante la testimonianza del professor Melitton, secondo cui la presideaggredì il padre e gli disse:
«Ma non vede che lei e suo figlio siete un motivo di turbamento per la scuola?».
Marzo 1975. Roberto Grassi, ex studente del Molinari, ed esponente di spicco di spicco del servizio d’ordine di Avanguardia operaia, durante una riunione di cellula si rivolge a Marco Costa, universitario, numero due del servizio d’ordine di Medicina a Città Studi. Grassi è uno dei pochi tra i dirigenti del gruppo che conosca personalmente Ramelli. Ed è lui che preannuncia a Costa una decisione da tempo nell’aria: dovrà essere la sua squadra (proprio perché non è in alcun modo collegabile al giovane missino) ad aggredire il ragazzo. Sarà un battesimo d’azione, la prima sprangatura del gruppo. Sarà il primo delitto politico degli anni Settanta commesso per interposta persona, il primo delitto, a sinistra, realizzato «su commissione».
La comunicazione «ufficiale», invece, in un’organizzazione leninisticamente centralizzata e gerarchica, arriverà da un altro dirigente, Giovanni Di Domenico detto «Gioele». Infatti, Di Domenico avvicina Walter Cavallari e gli dice:
«Dovete andare a menare un fascio». Cavallari non se la sente.
Pochi giorni prima gli è stato chiesto di sprangare uno studente di Agraria, ma non è andata come pensava. Lo aggredisce, ma subito dopo ha paura, scappa: «Doveva essere un militante di acciaio temprato, e invece no, mi ero trovato davanti solo un uomo». Viene esautorato. Per uno che ha un dubbio ce ne sono dieci che non ne hanno.
Il suo posto lo prende Costa. L’azione si deve fare lo stesso.
Dopo trent’anni Anita Ramelli abita ancora nella stessa casa di via Amedeo, con la finestra affacciata sul luogo dove avvenne l’aggressione a Sergio. Per ostinazione, per abitudine, per senso della memoria, non se ne è voluta andare.
Per anni su quel pezzo di muro si sono combattute grandi battaglie simboliche: prima i manifesti con le minacce, poi la guerra dei fiori e delle scritte, e addirittura una battaglia per i sacchi di immondizia che un portiere del condominio di fronte si ostinava a depositare proprio lì davanti, malgrado i cassonetti a pochi passi più in giù. Un giorno, gli amici di Sergio gli spiegarono che o sceglieva un altro posto per depositarli, o si sarebbe ritrovato i rifiuti in guardiola: cosa che puntualmente accadde, dopo l’ennesima sfida.
Non è facile dimenticare, nemmeno per un quartiere, soprattutto per chi non capisce che si possa continuare a combattere una guerra anche su qualche metro di marciapiede e di intonaco. Oggi, mani ignote, ma per chi sa individuabili, hanno dipinto su quella parete un grande murale, con una scritta e una croce celtica: SERGIO VIVE. È il modo che la comunità di cui Sergio faceva parte ha scelto per non dimenticare.
Ancora oggi, ogni tanto, mamma Ramelli si affaccia alla finestra di casa sua. Guarda il muro, e la scritta. E non dice nulla.
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SERGIO RAMELLI 29 Aprile 1975-29 Aprile 2011.
Trent’anni,caro Sergio. Trent’anni che abbiamo vissuto,in cerca di un sogno. Trent’anni che a Te sono stati rubati, senza un perché.
Perché ricordarsi ancora di Sergio ? Perché i giovani conoscano un passato recente dell’Italia nata dalla resistenza durante il quale migliaia di giovani bollati come fascisti e picchiatori, furono in realtà vittime dell’odio insegnato ai figli dai padri ancora non sazi del sangue del 1945 e da cattivi maestri che tale odio coltivavano ed insegnavano. Perché tale odio oggi non ritorni e consegni le Tre Guerre Civili Italiane finalmente alla storia. Anche se,purtroppo, ancora oggi c’è chi plaude a chi lancia cavalletti ed inneggia agli assassini di Nassirya. E c’è chi urla, come il 25 aprile di quest’anno a Milano: ”Berlusconi , Albertini, farete la fine di Mussolini.”
Erano gli anni di “Uccidere un fascista non è reato” o di “Se vedi un punto nero spara a vista:o è un Carabiniere o è un Fascista”, ma anche di “Ora e sempre,resistenza !”. Erano gli anni non certo “formidabili” come qualcuno ha invece scritto . E dove purtroppo “la meglio gioventù” ghettizzava altra gioventù.
Erano gli anni in cui una famiglia normale fu colpita da una tragedia immane.
Sergio era nato il 6 luglio 1956,undici anni dopo la fine della guerra.
Giocava al pallone e tifava Inter. Gli piaceva Celentano. Portava i capelli lunghi e non amava il barbiere. Aveva un motorino,un Ciao . E si iscrisse all’Istituto Tecnico Molinari a Milano perché amava la matematica e la chimica. Anzi,avrebbe voluto laurearsi in chimica. Era bravo,e spesso passava i compiti ai compagni di scuola; generoso, allegro, mai uno screzio. Aveva una ragazza, Flavia. L’ultimo anno di scuola si venne a sapere che Sergio era di Destra,che frequentava il Fronte della Gioventù ed il MSI. E fu l’inizio di un calvario.
Come risulta dagli atti del processo contro i suoi assassini, Ramelli fu più volte prelevato a forza dalla sua classe e minacciato. In seguito, in data 13 gennaio 1975 venne circondato in strada da 80 studenti e costretto a cancellare alcune scritte apparse sui muri del Molinari. A scuola scrisse un tema contro le Brigate Rosse:e questo fu la sua condanna. A fine gennaio il fratello Luigi,scambiato per Sergio ,fu aggredito da due giovani con chiavi inglesi.
Il 3 febbraio , mentre si recava a scuola col padre per presentare domanda di trasferimento ad altra scuola, venne costretto a passare nel corridoio dell’istituto tra due file di “compagni”, venne insultato e colpito, tant’è che svenne. Il Preside ed alcuni professori che scortarono padre e figlio fino all’uscita,vennero a loro volta malmenati.
Il 9 marzo Sergio e Luigi vennero assediati per mezz’ora in un bar di viale Argonne da una ventina di “bravi ragazzi” con bandiere rosse. Anche un altro giovane di Destra del Molinari, Claudio N. venne picchiato e costretto al ritiro.
Infine, a coronamento del tutto, alle ore 13 del 13 marzo 1975, mentre appoggiava il motorino in Via Paladini , la vile aggressione: il “cosiddetto” servizio d’ordine della Facoltà di Medicina di Avanguardia Operaia lo circondò e lo colpì sulla testa con grosse chiavi inglesi, quelle Hazet 36 (fascio dove sei?, diceva un altro slogan) allora tristemente famose.
Ricoverato al Policlinico, alternò momenti d’incoscienza a brevi momenti di ripresa, fino a morire il 29 aprile.
Mentre Sergio era in coma, anche Luigi venne nuovamente minacciato. Il giorno prima della morte ci fu un corteo di “antifascisti” sotto casa Ramelli, con scritte e manifesti pieni di minacce. Poi ci furono funerali quasi vietati, con i partecipanti costretti ad arrivare alla spicciolata, tutti fotografati dai compagni per un vero schedario che venne ritrovato mesi più avanti; il corteo impedito,il consigliere comunale missino Staiti ed alcuni ragazzi fermati dalla polizia, altri spintonati, un prete minacciato d’arresto perché protestava.
Questa la storia di allora:poi vi fu un processo dove gli assassini furono tutti condannati. Brave persone, si diceva. Certo, chi studiava Medicina come faceva a sapere l’effetto di una Hazet 36 calata con forza ripetutamente su una testa ? Ora sono tutti fuori,brave persone,con famiglia e figli …
Ed ora finalmente oggi, 29 aprile 2005 i giardini pubblici ,tra via Bronzino e via Pinturicchio della Sua, della mia Milano, saranno a Lui dedicati. Anche se c’è ancora molta gente che odia e che scrive sui muri, oggi come allora , ”Tutti i fascisti come Ramelli, con una riga rossa tra i capelli”…
Gente che ancora insegue chissà cosa, come alcuni partigiani che in questi giorni hanno distribuito in alcune Scuole Medie adesivi con sopra scritto “ora e sempre resistenza”. Fieri dell’Italia che costruirono. A loro dedico le parole dette da un religioso che portava il fazzoletto azzurro dei Volontari della Libertà alla vista dei Funerali Negati a Sergio: ”Non è questa l’Italia per la quale ho combattuto: questa non è un’Italia né LIBERA né DEMOCRATICA”.
Addio Sergio, Tu che conosci la Vera Pace in Cristo, prega per questa povera Patria insieme a tanti altri Camerati caduti in quegli anni ’70 ed a quei ragazzi che cercarono di salvare l’Onore della Patria dopo l’ 8 settembre.
A noi, sopravissuti di quell’era, resta il Tuo Ricordo e l’incarico di raccontare sempre questa tragedia di un giovane normale colpito da un odio senza perché.
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